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Titolo paper.KeyCrime

E’ sorprendente come a volte l’Osservazione, la Riflessione e la Sperimentazione, attraverso un ragionamento logico, tecnico ed esperienziale, conducano l’uomo verso traguardi scientifici eccezionali.

 

Quando la filmografiainiziò a manifestare interesse all’Investigazione, in modalità futuristica, chissà se registi, attori e spettatori immaginavano che un giorno tutto ciò si sarebbe trasformato in realtà, ovvero, che quella straordinaria fantascienza – sia essa creata dall’immaginario oppure da esperienze trascendentali 2 – sarebbe diventata scienza. Tra l’altro non è forse vero che l’una è lo specchio dell’altra? Tuttavia per dirla con Stephen W. Hawking3 «la fantascienza non è solo divertimento, essa svolge anche il compito di stimolare ed espandere l’immaginazione» e laddove vi è immaginazione, possiamo dire, è proprio là che la scienza comincia a fare i suoi primi passi verso la realizzazione delle cose, dal momento che immaginare è creatività, progettazione e rappresentazione: «la prova di tutta la conoscenza è l’esperimento»4 e chissà, magari anche l’immaginazione aiuta a trasformare l’individuo da “homo sapient mentis” a “homo sapient faber”, divenendo così un costruttore di cose e futuro.

Nell’investigazione possiamo dire che l’esperimento, al fine di dare una prova scientifica alla conoscenza, è nato con le prime metodologie di studi delle scene del crimine e dunque delle scienze forensi, attraverso le immagini impresse su pellicola, studiate poi con criterio antropometrico dal criminologo francese Alphonse Bertillon (1853-1914). Una metodologia – tecno-scientifica – che seppur distante da tanti altri concetti interpretativi e risolutivi dell’attività investigativa e dello studio sulla criminologia, rivolgeva l’attenzione verso una profonda osservazione, interessandosi così ad estrapolare ipotesi scientifiche. Si incrociano quindi anche nell’investigazione quelle combinazioni che, sin dai tempi più remoti, sono state attenzionate dall’uomo al fine di soddisfare i propri dubbi, cercare riposte alle domande e soprattutto creare teorie atte a manifestare una reazione, tra ciò che si immagina e  ciò che si costruisce.

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 L’osservazione, la riflessione e l’esperimento, intercalati in una attività di ragionamento in modo sequenziale dovranno infine, per effetto produttivo di risultati cognitivi, portare ad una regola scientifica; che questa sia di forma teorica, tecnologica o metodica alla fine darà sempre e comunque un esito; «L’osservazione raccoglie i fatti, la riflessione li combina insieme, l’esperimento verifica il risultato di questa combinazione»6.

Nelle moderne elaborazioni della scienza del XXI secolo queste combinazioni hanno appassionato in maniera profonda l’investigazione e in special modo hanno interessato la Polizia di Stato per l’attività anticrimine: dalla genesi delle metodologie scientifiche per l’indagine criminale, alle innovative tecniche di studio della scena del crimine; dalle primissime e azzardate metodologie tecnologiche, agli evoluti sistemi informatici di analisi risolutive; fino a giungere a quei sistemi oggi considerati all’avanguardia nella gestione computazionale dell’attività di Polizia, come l’AFIS, il CED, lo SDI, lo SPAID7, ecc., strumenti che per la gestione dei dati, delle informazioni e delle schedature delle impronte digitali hanno la loro importanza, ma tutto ciò non poteva far fronte al concetto di polizia predittiva in senso stretto di prevenzione del reato, quindi un  nuovo “strategic resolving project” nella dimensione computazionale per l’attività anticrimine andava trovato e a ciò ci ha pensato Mario Venturi, assistente capo della Polizia di Stato, creando il software “sventa – rapine8 noto come “KeyCrime”, il quale nasce proprio dai tre elementi che formano il percorso della creazione di un dato scientifico. 

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 Ecco che l’Information & Comunication Tecnology assume un ruolo di chiave strategica nell’attività investigativa anticrimine e questa pare ben si innesta nella best practice della ricerca scientifica rivolta a nuove quanto evolute strategie risolutive, di problem solving e non da ultimo di conclusive reasoning9 su attività le quali necessitano, per la loro complessità, di una profonda analisi e della decision making. E poiché tutto progredisce e tenta sempre più a migliorare, in questa established situation non poteva certo mancare la scienza investigativa «man mano che l’umanità si è maggiormente e tecnologicamente evoluta, il contenuto scientifico delle investigazioni si è progressivamente arricchito»10 (De Santis, 2002). Si arricchisce in maniera profonda, possiamo dire oggi e con una certa crescita espansiva, nella sua volontà di immagazzinare un sapere sempre più utile alla risoluzione delle cose «un sapere che nasce dallo sguardo, dall’osservazione degli individui, dalla loro classificazione, dalla registrazione, analisi e confronto dei loro comportamenti» (M. Foucault, 1994); ecco, il KeyCrime di Mario Venturi (attualmente in funzione presso la Questura di Milano) pare abbia rispettato i canali tecno – scientifici e cognitivi dettati da Michael Foucault:

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 Queste sei fasi – che qui ci piace immaginare si siano concretizzate durante il processo di creazione del KeyCrime – si arricchiscono, nella loro esplicita manifestazione di interesse scientifico, con un altro dato il quale circonda e contribuisce in maniera significativa il c.d. “esperimento scientifico” che ha riguardato intimamente la nascita di questo straordinario software: l’interazione uomo – macchina, ovvero cognitivismo e tecnologia, miscelati tra loro e con un duplice compito, scegliere cosa produrre – da parte dell’uomo – e decidere come realizzarlo – da parte della macchina.  

 È attraverso l’ Insight Investigation11 che Mario Venturi pensa di dover far fronte alla necessità di risolvere un serio problema, quello delle rapine, e soprattutto individuare attraverso quali strumenti poter prevedere altre, identiche, rapine e se in queste il reato è o meno perpetrato dallo stesso autore. Qui nasce la domanda: “data l’esistenza di un problema o di una situazione, in che maniera sarà possibile arrivare a una soluzione che soddisfi, attraverso una risposta certa, sia l’incognita (che si manifesta) che il contesto (che si riscontra)?”

Abbiamo già detto che la creatività nella ricerca scientifica, così come per la risoluzione dei quesiti, costituisce uno strumento importante per incamminarci verso l’obiettivo che vogliamo centrare; con l’aiuto delle inferenze, le quali vogliamo o no si manifesteranno – perché la conoscenza scientifica non può non essere inferenziale12 –  e che dobbiamo intercalare nel ragionamento, se vogliamo proporci come creative thinking, si andranno a trovare poi le relazioni tra queste e gli elementi iniziali, che hanno generato l’esistenza del problema da risolvere e con l’aiuto del cognitivismo e della complessità delle macchine e infine della scienza matematica, proiettarsi verso i paradigmi scientifici delle varie teorie, che man mano verranno prodotte.  

In tutto ciò vi è anche un comportamento implicito, da parte del ragionamento umano, ed esplicito invece da quello tecnologico. Il primo è sottointeso poiché è l’uomo ad essere possessore e generatore del costruttivismo cognitivo poiché pensa, crea, inventa e costruisce “ciò che crede esista”13 e dunque attiva quei processi che indirizzano verso le trasformazioni e le elaborazioni (Ulric Neisser, 1928-2012) il secondo invece è chiaro, evidente, in quanto la macchina produce un dato in maniera strettamente tecnico- razionale, anche se per mezzo degli incipit direzionali forniti dall’uomo. È qui che possiamo dunque collegare il percorso di creazione del KeyCrime con l’influenza determinante che l’ Human Information Processing (HIP) esercita, sulla mente umana e sul sistema computazionale: “se la mente umana si basa su autoregolamentazione e feedback e dunque l’uomo può essere considerato come un sistema di elaborazione delle informazioni, attinenti ai controlli automatici che ne governano l’azione, questa condizione può essere trasferita nella collaboratività tecnica – scientifica tra uomo e macchina”14, inoltre vi è il pensiero di  Kenneth Craik (1914 – 1945) «le macchine condividono con il cervello alcuni principi di funzionamento» e il tutto alla fine confluisce nel contenitore della conoscenza, occorrente all’uomo e alla macchina per identificare la via – forse obbligata dall’esperimento scientifico stesso – che conduce alla soluzione del problema. Incognita e contesto possono qui rigenerarsi, ma solo per dare spazio risolutivo, quindi una risposta certa definitiva, se questi vengono trattati con metodo rigoroso, dunque scientifico, tecnico e cognitivo, attraverso la rielaborazione di dati, informazioni e analisi.

Poiché ci è dato sapere, per dottrina di Democrito (460-370 a.c.)15, che «non conosciamo nulla che sia invariabile, ma solo aspetti mutevoli», il KeyCrime (che contribuisce a mutare l’aspetto investigativo) per il suo consolidamento scientifico non poteva non affacciarsi su un concetto filosofico – trascendentale, nel significato rielaborato da Immanuel Kant16 – per cercare e infine trovare la sua collocazione anche in un concetto metafisico, nel rispetto però di un altro pensiero di Kant: «non c’è dubbio che ogni nostra conoscenza incornicia con l’esperienza»17. L’esperienza dunque – investigativa in questo caso – ha contribuito alla creazione del KeyCrime?

Se non lo ha fatto in maniera rigorosa nelle applicazioni tecnico – scientifiche, avrà contribuito certamente alla sua genesi per mezzo del cognitivismo, proponendosi disponibile alla ricerca della soluzione di un problema e a costruire uno strumento idoneo alla collaboratività tra mente e macchina. Ma cosa si ottiene con il KeyCrime di Mario Venturi e della squadra di investigatori-analisti della Polizia di StatoRichiamando le sopra citate “fasi costruttive” che abbiamo immaginato nel processo creativo del software e utilizzando parte degli indicatori che ci pervengono da vari articoli giornalistici, possiamo comporre in sintesi cosa effettivamente fa il KeyCrime in termini di soluzione e soprattutto ai fini predittivi, consapevoli però che « parlare di KeyCrime significa rapportarsi con un software che si fonda prioritariamente su un metodo scientifico che fa proprio il ragionamento conclusivo (conclusive reasoning) applicato alla decision making, pertanto all’Intelligence Investigativa e alla predictive policing»18, quindi questo software: 

 

  • ha la sua profonda capacità predittiva sugli eventi criminosi che possono verificarsi e in quale aree queste hanno possibilità di manifestarsi;
  • modifica alcuni aspetti del sistema di attività di Polizia (compreso quello investigativo) consentendo un impiego minore di risorse umane, le quali possono essere deputate ad altri incarichi;
  • modifica l’andamento statistico delle rapine riducendone drasticamente il numero:
  • ha un’azione efficace anche sull’ istantanea azione repressiva;
  • ottiene una maggiore e certa risoluzione dei casi analizzati, individuandone i responsabili;
  • produce una “evidente certezza” che l’evento criminoso si è effettivamente realizzato, contribuendo così alla giustizia;
  • diminuisce drasticamente il numero di crimini, anche attraverso un’azione di riflesso;
  • riduce la spesa dell’Amministrazione Pubblica;
  • può immagazzinare ed analizzare migliaia di informazioni, anche per un singolo evento;
  • individua con largo anticipo sia il luogo, dove può realizzarsi una rapina, sia l’autore (serial robbery) che si sta apprestando a compiere quel crimine;
  • contribuisce a creare una maggiore percezione di sicurezza.
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 In realtà cosa può e potrebbe fare il KeyCrime è molto più di quello elencato, ciò lo si comprende da almeno due aspetti che da questo software traspaiono, o ancor meglio, che in qualche maniera esso stesso pare suggerisca: il primo è dato dalla concretezza del sistema operativo nel fornire dati certi su elaborazione “tecnico–investigativa” e “scientifico–analitica”. Non a caso interagisce con Algoritmi. Il secondo invece é squisitamente “deduttivo–paradigmatico”, ovverosia il KeyCrime fornisce alternanze di impiego logistico (nell’attività di indagine) che ben si prestano all’azione plurisettoriale investigativa e/o volendo esagerare (ma non tanto) all’Intelligence Investigativa, per cui i settori di impiego, considerato e ancor meglio appurato che ha versatilità, possono essere molteplici, “il KeyCrime è un software che ben si presta o che si potrebbe prestare a diverse letture previsionali e repressive di reati fino ad ipotizzarlo nella più ampia accezione di sicurezza, (Taurisano, 2015)”.

Un’ attenta valutazione che l’ideatore Mario Venturi sicuramente avrà già preso in considerazione, unitamente alla sua squadra di analisti e all’azienda che ha provveduto allo sviluppo del software19. Tuttavia non può bastare l’eccellente impegno dell’ideatore e degli sviluppatori del KeyCrime per renderlo produttivo negli ambienti dei vari reati e dunque utilizzarlo per una più vasta gamma di attività investigative, di Intelligence e sicurezza; occorre che le istituzioni prendano seriamente a cuore, attraverso l’impegno politico ed economico, ulteriori sviluppi di questo software tutto italiano, il quale sin dalla sua prima presentazione ha interessato il Giornalismo, le Accademie e le Forze di Polizia di tutto il mondo.Tra l’altro non poteva essere altrimenti, considerato che da 664 rapine (perpetrate nell’area operativa del KeyCrime) ai danni di farmacie e supermercati nel 2008, si passa a 283 reati dello stesso tipo consumati nel 2015, con ben il 57% in meno. Mentre le rapine in banca  diminuiscono da 329 del 2009 a 57 nel 201520.  Diviene facile, ora, traslare – ipoteticamente – questi dati su scala nazionale, dove il risultato statistico delle rapine consumate, grazie all’eventuale utilizzo del KeyCrime su tutto il territorio, otterrebbe un significativo decremento dei crimini.

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Tutti gli uomini, per natura – secondo il concetto metafisico aristotelico – aspirano alla conoscenza, or dunque, essendo questo un dato ormai consolidato nel percorso di vita degli individui, non possiamo meravigliarci se questa conoscenza è dall’uomo stesso stimolata ad evolversi, anzi possiamo dire che anche questo è naturale nell’homo sapient. Ebbene il KeyCrime di Mario Venturi ha assimilato, durante il suo percorso creativo, una conoscenza dall’uomo, di tipo intuitiva, per restituire all’uomo stesso un’altro tipo di conoscenza, strettamente implicito nel concetto di risoluzione (ragionamento conclusivo) ai fini della dimostrazione scientifica di uno o più dati. Tuttavia, spesso, nel panorama della sintesi esplicativa del concetto scientifico – produttivo, riguardante nuove “cose” e moderne “scoperte” oppure evolute “idee” e futuri “progressi”, si riscontrano inattività, da parte di chi invece dovrebbe sostenere e incentivare il cammino introduttivo al costruttivismo, in seno al suo significato filosofico21, e al suo interessarsi a forgiare il nuovo, sia nel complesso sistema cognitivo umano che in quello tecnico – strutturale computazionale. L’auspicio è che il KeyCrime venga legittimato ad operare su tutto il territorio nazionale e che beneficia di quel supporto economico da parte dello Stato, al fine di potenziare sempre più le sue capacità predittive, attitudini tecniche-operative e risolutive ormai consolidate e che ben sono state evidenziate dagli analisti dell’Investigazione e della prevenzione del Crimine, in maniera da ritenere, oramai, il KeyCrime come lo strumento futuristico per combattere il crimine, con la sola eccezione che trattasi di un futuro già presente, disposto ad evolversi e ad anticipare i tempi, contribuendo così alla sicurezza nazionale.


 Note:

Rif. Minority Report, film del 2002 di Steven Spielberg, tratto dal racconto di fantascienza scritto da Philip Kindred Dick (1928-1982).

2 Vedesi J. Lethem e P. Jackson (a cura di) “L’Esegesi, 2-3-74 di P. K. Dick” Editore Fanucci.

 Fisico, matematico e astrofisico. Il riferimento è tratto dalla prefazione del saggio di M. Krauss Lawrence “La Fisica di Star Trek, Longanesi, 1966.

4 R. P. Feynman, R. B. Leighton, M. Sands, “La Fisica di Feynman” Zanichelli, 1996.

Alphonse Bertillon, è stato il precursore dell’identificazione e classificazione dei criminali attraverso le misure antropometriche e dunque della antropometria giudiziaria. Alcune sue opere sono “La moderna Etnografia, le razze selvagge” (1883); “L’antropometria giudiziaria a Parigi nel 1889” (1890); Fotografia Giudiziaria” (1890); “L’Antropologia metrica” (1909).

Denis Diderot (1713-1784) filosofo francese.

7 AFIS (Automated Fingerprint Identification System) è il Sistema Automatizzato per l’Identificazione delle Impronte; CED (Centro Elaborazione Dati) Sistema Informatico che raccoglie, elabora e gestisce dati, ovvero informazioni su ogni fenomeno censito dalle forze di polizia; SDI (Sistema di Indagine) accessibile solo da personale autorizzato; SPAID (Sistema o Sottosistema Periferico per l’Acquisizione delle Impronte Digitali) il quale collegato tramite la Rete Unitaria per la Pubblica Amministrazione – RUPA – all’AFIS, acquisisce impronte digitali, foto, dati anagrafici e segni particolari, producendo così un Codice Unico di Identificazione – CUI – occorrente poi per la ricerca di dati significativi e segnaletici attraverso una comparazione degli stessi.

Il Sole24Ore, Novembre 2013.

G. Taurisano, KeyCrime: il conclusive reasoning nell’attività anticrimine della Polizia di Stato, “Giornale Scientifico Onap Profiling”, www.onap-profiling.org.

10 Maurizio De Santis, già Ispettore Superiore della Polizia di Stato, Cav. Ufficiale della Repubblica, Croce d’oro e medaglia d’argento al merito di servizio – www.desantismaurizio.it.

11 Termine inglese che tradotto letteralmente significa visione interna, tra l’altro usato in psicologia per indicare o riconfigurare “lo spazio del problema”. Qui l’autore dell’articolo ne prende libera licenza per indicare una visione interna all’ inferenza della scienza investigativa applicata alla tecnologia. 

12 S. Zingale, Il ciclo inferenziale. Deduzione, induzione, abduzione: dall’interpretazione alla progettualità, Working Paper, 2009 – link: http://europa.uniroma3.it/cipriani/files/59a778e0-31a6-4f8b-ad2d-ffcb7aac0f21.pdf.

13 Ved. L. Bertolotti, Storia del Costruttivismo, doc. pdf, http://cird.unive.it/…

14 G.Taurisano,  Il KeyCrime: predictive policing o anche intelligence investigativa? In Intelligence e Sistema di Informazione..Aracne Editrice int.le, 2015, pag.508.

15 Democrito ipotizzò due forme di conoscenza, una giuridica quindi legittima, l’altra invece celata, oscura dunque illegittima, è proprio nella conoscenza legittima che gli “oggetti” sono nascosti, per cui vanno cercati, indagati, analizzati. Rif. www.folosofico.net

16 Kant chiama trascendentale ogni conoscenza che si occupi, in generale, non tanto degli oggetti quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo deve essere possibile a priori, in Critica della Ragion Pura.

17 Ibidem, p.33.

18 G. Taurisano, KeyCrime: il Conclusive Reasoning […] introduzione di M. Benedetti.

19 Il KeyCrime è stato sviluppato dalla EmmeVIemme Intelligence Solution, con sede legale in Milano.

20 I dati si riferiscono alla sola città di Milano, ovvero al territorio in dove il KeyCrime viene utilizzato.

21 Per quanto suggerisce l’epistemologia costruttivista, sappiamo che il “sapere non esiste indipendentemente dal soggetto che conosce”, dunque imparare non è apprendere la natura delle cose, almeno quella vera, di conseguenza possiamo avere una conoscenza che può, senz’altro, svilupparsi ulteriormente su altre conoscenze.

 


 Altri articoli dell’autore sullo stesso argomento:

Il KeyCrime: Predictive policing o anche intelligence investigativa?” nel volume: G. Taurisano, Intelligence e Sistema di Informazione nella Repubblica Italiana, Aracne Editrice.  

“KeyCrime, il Conclusive Reasoning nell’attività anticrime della Polizia di Stato”, Giornale Scientifico ONAP – Profiling, giugno 2016.  {jcomments on}

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