Lun. Mag 13th, 2024

Giovanni Passannante, lucano come me, è il protagonista di questa storia particolare, al limite dell’incredibile, ma che è effettivamente successa e la cui vicenda ha diviso, unito e coinvolto la comunità dei salviani (circa 1.300 abitanti), le istituzioni religiose, politiche e militari, il mondo dell’ informazione, della cultura, dello spettacolo, dell’ arte, della scienza ed anche i servizi segreti d’ intelligence.

 

Quando Giovanni Passannante nacque a Salvia, borgo in provincia di Potenza, il 19 febbraio 1849, i suoi genitori, Pasquale e Maria Fiore non se la passavano bene. Ultimo di dieci figli, dei quali quattro morti in tenera età, Giovanni, sin dall’infanzia, fu costretto a svolgere piccoli lavori per aiutare la sua numerosa e povera famiglia e sebbene avesse espresso il desiderio di andare a scuola, il perdurare delle misere condizioni familiari, gli consentì di frequentare solo per un breve periodo di tempo le aule scolastiche. Ma, nonostante si fosse ritrovato ad essere un semianalfabeta, grazie ai compagni di lavoro e alla lettura di libri e di giornali passatigli da amici, il giovane riuscì a formarsi, da autodidatta, una certa cultura che gli permise di maturare una coscienza repubblicana e anarchica. Una volta cresciuto e per fuggire alla fame, interrotta brevemente da lavori saltuari come bracciante e guardiano di greggi, Passannante si recò a Potenza, dove trovò un posto da sguattero in un’osteria. Ma qualche tempo dopo, un capitano dell’esercito, nato anche lui a Salvia, ma che risiedeva a Salerno, notata l’intelligenza e la voglia di studiare di Giovanni, lo prese a servizio presso di sé, assegnandogli un vitalizio che gli consentisse di proseguire gli studi, sebbene sempre da autodidatta. Passannante alternò, così, la lettura della Bibbia a quella dei giornali e degli scritti di Giuseppe Mazzini. Abbracciate le idee repubblicane, Giovanni prese a frequentare circoli mazziniani e nel 1870 fu arrestato, come riferisce lo storico Giuseppe Galzerano nel suo libro[1], perché aveva affisso sui muri di Salerno un suo manifestino di solidiarietà per la rivolta repubblicana di Maida (Cz). Uscito di prigione, Passannante tornò brevemente presso la famiglia a Salvia, quindi tornò nuovamente a Potenza, dove trovò lavoro come cuoco. Siccome questo lavoro gli piaceva, decise di aprire, in società con un amico, una trattoria che, però, chiuse dopo una settimana dall’apertura. Giovanni, infatti, infervorato dagli ideali repubblicani, non faceva pagare i pasti ai clienti del locale e preferiva parlare con loro della questione meridionale, di ospedali, scuole, strade, tribunali e di tutto ciò che ancora mancava in Lucania. Nel 1872, Passannante si trasferì a Salerno, dove continuò a fare il cuoco. Fu lì che s’iscrisse alla locale Società operaia e grazie al suo attivismo, i membri della società si moltiplicarono, passando da 80 a 200. Giovanni trovò più confacente alla sua visione politica le idee e gli ideali portati avanti dagli anarchici e proprio dopo aver abbracciato l’anarchia decise di trasferirsi a Napoli, dove prese attivamente a fare opera di proselitismo verso i nuovi ideali. La svolta tragica della sua esistenza avvenne quando il re d’Italia, Umberto I di Savoia, accompagnato dalla moglie, la regina Margherita, e dal Principe di Napoli, Vittorio Emanuele III, decise di compiere un viaggio in diverse città meridionali. Il 17 novembre 1978, il sovrano e il suo seguito giunsero proprio a Napoli. Ben presto, la carrozza sulla quale si trovavano si trovò circondata dalla folla entusiasta, che aveva rotto i cordoni dei soldati. All’altezza del Largo della Carriera Grande, Passannante si avvicinò alla carrozza facendo finta di voler porgere una supplica, salì sul predellino, scoprì il pugnale che teneva avvolto in uno straccio rosso e vibrò un colpo in direzione del sovrano che riuscì a deviare l’arma, rimanendo leggermente ferito ad un braccio. L’attentatore, a sua volta, fu dapprima afferrato dal primo ministro Benedetto Cairoli, che subì una coltellata alla coscia e poi tramortito da una sciabolata alla testa che ricevette dal capitano dei corazzieri. Arrestato in flagranza, Passannante fu rinchiuso nella prigione di San Francesco a Napoli, dove nei giorni seguenti fu interrogato per strappargli di bocca confessioni di complotti e i nomi di altri complici. In realtà, Giovanni Passannante aveva concepito l’attentato da solo e lo aveva compiuto con un coltellino che aveva una lama di appena otto centimetri, «buono solo per sbucciare le mele», come dichiarò al processo il proprietario del negozio dove l’anarchico aveva ottenuto l’arma, barattandola con la sua giacca. Il tentato regicidio provocò in tutta Italia una grande indignazione e numerosi cortei di protesta contro l’anarchico si formarono spontaneamente in varie città: ciò portò, da parte delle autorità, ad una pesante opera di repressione che investì l’intero Paese. Il giovane poeta Giovanni Pascoli, proprio in questo periodo, scrisse la sua “Ode a Passannante” ‘col berretto d’un cuoco faremo una bandiera’. Nel suo libro il maggior studioso di Passannante, Giuseppe Galzerano, racconta che il sindaco del paese di nascita di Passannante, Salvia, per paura che le conseguenze di quel gesto sovversivo potessero ricadere su tutta la popolazione, per scusarsi di aver dato i natali ad un simile criminale e per riabilitarsi nei confronti della casa regnante, deliberò il 13 maggio 1879 che da quel momento il comune si chiamasse Savoia. Così, il 3 luglio dello stesso anno un Regio Decreto riconobbe al Comune di Salvia di Lucania il nuovo nome di Savoia di Lucania. L’anarchico, assistito da un difensore d’ufficio, dopo un brevissimo processo che si svolse a Napoli, dal 6 al 7 marzo 1879, fu condannato a morte, sebbene il codice penale prevedesse la pena capitale solo in caso di morte del re e non del suo ferimento. Successivamente, la pena gli fu comunque commutata in lavori forzati a vita e Passannante scontò l’ergastolo in una fortezza a Portoferraio, sull’isola d’Elba, in condizioni disumane. Lì, l’anarchico fu rinchiuso in una cella, di due metri per uno, alta un metro e cinquanta, priva di latrina, posta sotto il livello del mare in fondo alla torre della Linguella, che da allora si chiama “Torre Passannante” e come se non bastasse, ai piedi gli fu serrata una catena con una palla da diciotto chili. Frattanto nel 1887, Giuseppe, il fratello di Passannante fu rinchiuso nel manicomio di Aversa come documenta l’ autore Giuseppe Galzerano che, nel suo libro, riporta la relazione sul ricovero del medico Cantilli Senza poter mai parlare con nessuno, Giovanni Passannante visse al buio e in completo isolamento, si ammalò, ben presto, di tenia e scorbuto e per sopravvivere si cibò spesso dei suoi stessi escrementi. Tali condizioni disumane di detenzione furono oggetto di una denuncia da parte dell’onorevole Agostino Bertani e della giornalista Anna Maria Mozzoni, a seguito della quale il prigioniero, ormai ridotto alla follia, certificata da una perizia psichiatrica condotta dai professori Biffi e Tamburini, che lo dichiararono malato di mente, fu trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, vicino a Firenze, dove morì il 14 febbraio 1910. Dopo il decesso, il cadavere di Giovanni Passannante fu sottoposto ad autopsia, alla fine della quale gli fu tagliata la testa, segato il cranio ed espiantato il cervello. Il corpo, dal collo ai piedi, fu sepolto a Montelupo Fiorentino, mentre il cervello e il cranio, assieme ai suoi blocchi di appunti, sotto l’influsso delle teorie positiviste allora in voga, furono oggetto degli studi del celebre antropologo criminale Cesare Lombroso. Proprio l’analisi dei resti dell’anarchico, determinarono il superamento della teoria lombrosiana, che considerava patologico tutto ciò che non era conforme al concetto di “normalità” e dove il criminale era considerato esclusivamente un individuo filogeneticamente arretrato, che presentava un’anomalia congenita nel cervello, la cosiddetta fossetta cerebellare mediana o fossetta vermiana, propria degli stadi embrionali degli animali inferiori. Lo studioso spostò le cause del delitto da una prospettiva esclusivamente biologica ad una che teneva conto anche dei fattori socio-ambientali, elaborando nuove e molteplici categorie di devianza e di delinquenza determinate da svariate influenze, per esempio dal clima, dalle aree geografiche, da possibili intossicazioni. Il noto criminologo annoverò, nella quinta edizione del trattato “L’ uomo delinquente” (1897), il caso di Giovanni Passannante tra i cosiddetti “delinquenti mattoidi”, ossia tra quegli individui affetti da un’ideazione patologica, che li porta a dedicarsi ad attività estranee alle loro capacità: nel caso specifico dell’anarchico, l’attentare alla vita del re. I reperti di Passannante, studiati dai fautori della teoria eugenetica sviluppata dallo stesso Lombroso, dopo essere stati conservati presso l’Istituto Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario “Regina Coeli” di Roma, dal 1936 furono esposti al “MuCri”, ossia al Museo Criminologico dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia, attualmente diretto da Assunta Borzacchiello, che si trova a Roma, in via del Gonfalone 19. La permanenza dei resti in esposizione presso il Museo Criminologico ha causato, nel corso del tempo, proteste ed interrogazioni parlamentari. Nel 1999, l’allora ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla osta alla traslazione dei resti di Giovanni Passannante da Roma a Savoia di Lucania. Intanto, nel Comune di Savoia di Lucania la popolazione dei salviani si era divisa in due comitati, tutt’ ora attivi nel paese, opposti: uno denominato “pro-Salvia”, che rivendicava il desiderio di ritornare al vecchio nome di Salvia di Lucania, in memoria delle torture inflitte a Passannante e del ruolo distruttivo dei Savoia nella politica italiana, l’altro “pro-Savoia”, il quale rivendicava l’onore di essere legati alla dinastia dei Savoia e condannava l’atto compiuto dall’anarchico. Insomma, a più di cento anni da quei fatti, il gesto di Giovanni Passannante continuava a suscitare polemiche, dibattiti e perfino un’opera teatrale, visto che l’attore e drammaturgo Ulderico Pesce, lucano come l’anarchico, a sostegno della “causa Passannante” ha messo in scena in teatro il testo “L’innaffiatore del cervello di Passannante”, senza contare la serata evento che ha ideato ed organizzato, a Roma, dal titolo “Liberiamo Passannante”, con artisti ed esponenti del mondo della politica e della cultura uniti per chiedere il ritorno di Passannante in Lucania. Inoltre lo stesso autore teatrale aveva attivato una petizione su Internet per chiedere all’attuale ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, il ritorno dei resti dell’anarchico nel suo paese natale e la creazione di un calco in gesso e resina del cranio e del cervello di Passannante da lasciare nel Museo Criminologico come testimonianza storica. Ebbene, fino a poco tempo fa, nonostante l’autorizzazione ministeriale, la traslazione e la cristiana sepoltura dei resti non aveva ancora avuto esecuzione per motivi organizzativi espressi dal Comune di Savoia di Lucania. Il ritorno di Giovanni Passannante nella sua terra, annunciato dal presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo, e dal sindaco di Savoia di Lucania, Rosina Ricciardi, era stato previsto per lo scorso 11 maggio. Poi, con un improvviso e segretissimo colpo di scena, dopo quasi un secolo dalla morte e ad oltre settant’anni di esposizione nella teca del museo romano, il cranio e il cervello dell’attentatore sono stati tumulati nella prima cappella dell’ossario comunale del paese natio la sera del 10 maggio 2007, ossia ventiquattro ore prima della data annunciata, suscitando inevitabili polemiche e proteste. L’ anarchico che aveva lasciato Salvia di Lucania con clamore, in gran segreto è tornato a Savoia di Lucania. Così, non si è svolta nessuna cerimonia funebre canonica, con la messa nella chiesa madre, nessun corteo funebre, ma una semplicissima traslazione e una sepoltura anticipate in sordina, di nascosto ed effettuate, addirittura, sotto scorta. Le ragioni di tale riserbo, dettate da motivi di ordine pubblico, sono contenute in un rapporto del Sisde sul caso Passannante: pare che per il giorno della commemorazione era stato segnalato l’ arrivo del parlamentare di Rifondazione Francesco Caruso, ex leader dei no global, e di un nutrito gruppo di esponenti di vari movimenti alternativi e questo, ha determinato la paura dello scontro con il gruppo dei monarchici presente nel comune del Melandro. In realtà non ci sono stati disordini ma solo il malcontento di quanti hanno presidiato il cimitero per assistere ad una celebrazione che è stata posticipata al 2 giugno 2007 a sepoltura ormai avvenuta. Ad ogni modo, il “caso Passannante”, davvero unico nel suo genere, in virtù della duplice sepoltura, non è ancora giunto alla parola fine. Infatti, a seguito di un’intesa tra Regione, Comune e comitato “Pro Salvia”, con il finanziamento del Ministero dei Beni Culturali, sarà ristrutturato il castello medievale, che ospiterà un museo dove, al suo interno, verrà realizzata una sezione appositamente dedicata a Passannante e una tomba nella quale saranno trasferiti definitivamente i resti dell’anarchico. Grazie a quanti in questi anni hanno contribuito, a vario titolo, per far conoscere la storia dell’ anarchico lucano, Giovanni Passannante è diventato un personaggio e la sua figura ha suscitato un notevole interesse. In Italia si discute spesso, in svariati ambiti, di “fuga di cervelli”, ma Giovanni Passannante ne è l’eccezione, è l’ esempio di un cervello italiano che dalla sua nazione non è mai fuggito, di un uomo che nella sua terra non ha avuto pace, né durante la vita, né dopo la morte in quanto, tutt’oggi, i suoi resti, provvisoriamente tumulati, sono destinati ancora a vagare alla ricerca di una degna e stabile collocazione.

– Giuseppe Galzerano Giovanni Passannante. La vita, l’attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‘regale’ e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l’incantesimo monarchico

Galzerano Editore

Casalvelino Scalo, 2004

Lascia un commento