
La presente indagine pone la sua base di partenza dalla molteplicità di studi, che si sono susseguiti in questi anni, in merito all’ applicazione di un protocollo metodologico uniforme di profiling da applicare alle tecniche di contrasto del fenomeno terroristico islamico. Si cercherà pertanto di determinare delle linee guida che potranno essere utilizzate al fine di creare profili psicologici di possibili terroristi, da integrare con i metodi di analisi sociologica del fenomeno .
1. Il “terrorismo”
Del termine “terrorismo”, attualmente, non risulta esistere una definizione certa nella maggior parte dei dizionari occidentali.( una definizione organica del terrorismo non esiste né si formulerà in un futuro prevedibile- Walter Laqueur –storico-nel 1977.. ). Secondo l’impostazione sociologica , si può qualificare il fenomeno del terrorismo come “uso della violenza al fine di creare paura ed allarme per determinare mutamenti sociali e politici” . Il fenomeno del terrorismo di matrice islamica, quale fenomenologia specifica del terrorismo, va inteso come una realtà motivata, perpetrata contro obiettivi non combattenti da gruppi subnazionali o da agenti clandestini . Secondo il Dipartimento di Stato Americano (U.S. Department of State, Office of the coordinator for Counterterrorism), il termine terrorismo si riferisce all’uso di politicamente in continua trasformazione . Lo studio di tale fenomeno dovrà, quindi, integrarsi con le moderne tecniche di investigazione, senza, tuttavia, prescindere da una valutazione delle diversità tra una mente cristiana e quella islamica. violenza premeditata e politicamente in continua trasformazione . Lo studio di tale fenomeno dovrà, quindi, integrarsi con le moderne tecniche di investigazione, senza, tuttavia, prescindere da una valutazione delle diversità tra una mente cristiana e quella islamica.
2 Il fondamentalismo e la guerra all’Occidente
2.1. Il termine “fondamentalismo islamico”, identifica i movimenti di attivismo sociale e politico fondati sull’islam il cui credo è definito dalla fusione tra ideologia politica e religione . In tali gruppi è ossessiva l’idea di tornare alle fonti dell’islam più puro, come il Corano (il Libro sacro che contiene le rivelazioni fatte da Dio tramite Maometto, e che è quindi direttamente parola di Dio) ed alla comunità primigenia, del periodo del Profeta e dei primi califfi (i cosiddetti al- Rashidun, i “Ben guidati”), L’ideologia fondante e le motivazioni che la costituiscono vanno ricercate nel bisogno di riaffermare un’identità perduta, ricostituendo in terra uno Stato etico-religioso creato ad immagine e somiglianza della legge di Dio.
2.2. La guerra non dichiarata Secondo le diplomazie mondiali l’essenza del terrorismo islamico sarebbe da ricercare nel fine perseguito,ovvero nell’ offesa all’integrità dello stato attraverso l’influenza psicologica sulla popolazione ingenerata dal terrore con il fine di affermare il primato della Nazione Islamica. Altri soggetti forse piu’ addentro alle logiche del fenomeno hanno ritenuto che ci si trovi nel pieno di una guerra ufficialmente non dichiarata. Il giornalista Magdi Cristiano Allam ha definito il fenomeno come: “Una guerra dichiarata solo formalmente dalla centrale del terrorismo internazionale di matrice islamica capeggiata da Osama Bin Laden (dopo la sua morte da Saif al –Adel che ha ottenuto la guida ad interim di Al Qaeda-n.d.a.) con la nascita nel giugno 1988 del Fronte internazionale per la Guerra santa contro gli ebrei e i crociati. Il suo manifesto esplicita una strategia di conquista dei paesi musulmani, in primis l’Arabia Saudita, per riesumare la Umma, la Nazione islamica. In quest’ambito si legittima il massacro di tutti i civili e i militari stranieri, a cominciare da americani e israeliani, considerati complici dei regimi musulmani che si vorrebbero abbattere. Si tratta quindi una guerra di natura aggressiva, non reattiva.”
Continua Allam affermando: “Dopo l’11 settembre 2001 si è accentuato il coordinamento tra Al Qada e diverse sigle del terrorismo di matrice islamica nei territori palestinesi, Iraq Marocco, Yemen, Indonesia, Pakistan, Libano, Egitto e Algeria, fino a promuovere delle attività terroristiche in franchising, che sono cioè ispirate da Al Qada ma firmate da sigle locali. In questo contesto, Al Qada dà la linea sul piano ideologico e religioso, mentre le singole cellule sono sostanzialmente autonome sul piano del finanziamento, procacciamento di armi ed esplosivi, individuazione dei bersagli e scelta dei tempi dell’attentato. Se non si tiene conto di cio’, si incorre facilmente nell’errore di immaginare reattiva una guerra del terrore che è invece aggressiva, così come si confondono i due livelli: i burattinai, che fanno capo a Bin Laden (leggasi Saif al –Adel che ha ottenuto la guida ad interim di Al Qaeda-n.d.a.); i burattini del terrorismo, prodotti dei diversi terreni di coltura, che si annidano nelle aree delle crisi più accese, soprattutto nei territori palestinesi e in Iraq.
Le rivolte ed i capovolgimenti politici, di questi ultimi mesi, nel Nord Africa e nella penisola araba dimostrano con chiarezza quanto sin qui affermato e denotano un mutamento della strategia del terrore attraverso la propaganda e lo sfruttamento delle masse con un oculata manipolazione dei bisogni primari delle collettività affamate e colpite dalla crisi mondiale al fine di capovolgere i regimi ritenuti dal fondamentalismo islamico corrotti ed al soldo del Occidente “crociato”(obiettivi indicati già dal 2007 ,in particolare il 4 Luglio : videomessaggio diffuso in internet di Ayman Al Zawahiri dal titolo: “Consiglio di una persona preoccupata” allegato alla Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza 2007 – Presidenza del Consiglio dei Ministri). A tal proposito basta pensare all’affermazione del gruppo egiziano integralista “Fratelli Musulmani” che dopo le note vicende di eliminazione del governo filo occidentale di Mubarak è stato ufficializzato ed è divenuto una voce del popolo. Va qui ricordato che le rivolta di piazza in Egitto (individuato come obiettivo del terrorismo sin dal 2007) ed in Tunisia, non furono effetto di spontaneismo come si è voluto far credere , ma furono un vero e proprio assalto al potere ,gestito anche con distribuzione via mail ed in forma cartacea di un opuscolo relativo alle indicazioni dei comportamenti da tenere in piazza : Tra i consigli dell’opuscolo, quello di riunirsi in gran numero lontano dalla polizia schierata e poi, una volta raggiunta una sufficiente massa critica, raggiungere gli obiettivi, per esempio il palazzo della televisione. Inoltre ai poliziotti vanno gridati «slogan positivi» (per esempio «Lunga vita all’Egitto» oppure «Basta con il regime della corruzione» per invitarli a unirsi alle manifestazioni. Altri consigli, in caso di scontri, sull’abbigliamento (giacca di pelle o di stoffa pesante con cappuccio, scarpe adatte per correre, occhiali protettivi contro i lacrimogeni) e le «armi» offensive e difensive (vernice spray da spruzzare sulle visiere dei caschi degli agenti per impedire la visibilità) e difensive (un coperchio di pentola da usare come scudo…ecc.).
3. Il mutamento della strategia ed il pericolo terrorismo in Italia
3.1. Europa L’Europa, Italia compresa, «appare sempre più esposta al terrorismo di matrice jihadista» sia come retrovia ogistico e di reclutamento per gli estremisti, sia come «potenziale teatro di pianificazioni offensive contro obiettivi istituzionali e simbolici, luoghi pubblici e personaggi accusati di essere nemici dell’Islam». Lo scrivono i Servizi d’informazione della Repubblica, nella relazione 2010 consegnata al Parlamento, nella quale, si sottolineano «indicazioni» circa l’arrivo o il rientro in Italia di «estremisti con trascorse esperienze jihadiste in contesti di crisi o addestrati nel quadrante afghano-pakistano». In particolare la minaccia nei confronti del nostro paese, proviene sia da «organizzazioni attive all’estero», che utilizzano l’Italia come snodo di transito per gli estremisti, retrovia logistico e “potenziale trampolino, se non obiettivo, per pianificazione terroristiche originate anche all’estero”, sia da “individui già presenti nel nostro paese”.
3.2. Self starters Tra questi ultimi vanno ricercati i cosiddetti "self starters" . Normalmente si tratta di islamici nati o cresciuti nei Paesi Occidentali (homegrown mujaheddin, immigrati di 2^ generazione il cui processo di radicalizzazione avviene in Occidente) che non sempre versano in condizioni di disagio economico-sociale: anzi, conducono una vita normale., ma rifiutano ogni forma di integrazione. Spesso si radicano nell’hinterland delle metropoli, che presenta più favorevoli condizioni. Questi individui danno vita al “jihad individuale”. Apprendono l’ideologia ed il training su internet, si ispirano ai network del terrore tramite i mezzi di comunicazione, entrando in azione autonomamente e rappresentano una "incognita particolarmente insidiosa" in quanto si attivano in maniera “imprevedibile, al culmine di percorsi solitari ed invisibilì di radicalizzazione”.
3.3. Italia Nella relazione risultano segnalati gli ambienti più "sensibili" alla diffusione dell’ideologia jihadista: i centri di aggregazione soprattutto del Nord Italia e gli ambienti carcerari, dove i veterani sarebbero in grado di condizionare e reclutare giovani arrestati per reati comuni. I riscontri investigativi hanno evidenziato che la Lombardia si conferma essere una delle principali piazze per la proliferazione del fondamentalismo di matrice islamica con un continuo ricambio generazionale che vede l’ingresso in scena di nuove leve oggetto di attenzione da parte delle forze di polizia. Basti pensare,in questo contesto, all’ operazione che ha portato all’ arresto nel mese di dicembre 2008,di Rachid Ilahami, 31 anni, di mestiere saldatore, e di Abdelkader Ghafir, 42enne operaio edile, entrambi marocchini ed animatori del centro culturale "Pace Onlus" di Macherio, accusati di aver dato vita a una cellula fondamentalista islamica pronta a colpire nei teatri di guerra ma anche nel nostro Paese. Avrebbero voluto,infatti far saltare in aria un supermercato, la caserma dei Carabinieri di Giussano e l’ufficio immigrazione della Questura di Milano. ( da verbale intercettazione telefonica : «Non c’è bisogno di raggiungere l’Afghanistan per sentirsi di Al Qaeda, possiamo combattere i miscredenti anche qui», – la sera, terminati i sermoni, Ghafir e Rachid passavano la notte a studiare proclami diffusi dai leaders di Al Qaeda ed a scaricare da internet filmati sulle tecniche di lotta corpo a corpo e sulla fabbricazione di bombe.)
3.4. Soft targets (obiettivi a basso costo) Risultando la nascita di una generazione di terroristi “home made”, risulterà mutato anche il quadro di operatività degli stessi. Ed infatti il self starter può contare solo su risorse finanziarie limitate ( le proprie o dei suoi amici di fede a lui prossimi) che consentono la possibilità di agire in maniera “povera” ma, comunque, altrettanto efficace – l’attentato di Londra nel 2005 costò poco più di mille sterline per i materiali e fu opera di. eurojihadisti inglesi di origine asiatica o mediorientali, attratti dal radicalismo islamico, di età tra i 20 e i 27 anni, con un lavoro ed una vita normale cellule spontanee che si attivarono senza un effettivo ordine o una fatwa -. Di qui l’aumento della difficoltà di individuare il terrorista della porta accanto che, come fu indicato in un manuale operativo per addetti all’intelligence , di alcuni anni fa , si fa grigio utilizzando l’ambito sociale nel quale risulta inserito come opportunità per confondersi o camuffarsi. Di qui la necessità della ricerca del profilo psicologico del potenziale terrorista aumentando la componente umana, veicolo principale per l’acquisizione di informazioni e per seguire tracce di interesse (humint) rispetto al ricorso a strumentazioni elettroniche (elint) o all’interpretazione a distanza di segnali (sigint) durante l’analisi di dati o fenomeni.
4.Il terrorista islamico “tipo”
4.1 Da piu’ parti si è cercato di individuare tratti comuni di profiling al fine di dar luogo all’individuazione del terrorista islamico. Secondo alcuni l’identikit del terrorista si deve fondare su dati come età, scolarizzazione, grado di fede .
Identikit del terrorista
Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di giovani uomini di età compresa tra i 20 ed i 30 anni. E’ la fascia di età infatti che si lascia maggiormente trascinare dalle ideologie al fanatismo ed all’azione diretta. Imbevuti di ideologia e fanatismo non discutono le disposizioni che vengono impartite loro, anche se si tratta di andare incontro alla morte. I giovani ,inoltre, hanno a disposizione quella rapidità di movimenti che li rende adatti alle azioni terroristiche. Nella maggioranza dei casi si tratta di giovani di aspetto comune, non in grado di attirare l’attenzione su di loro. Le esperienze del terrorismo definite con il termine di “anni di piombo”, sia in Italia che in Germania, ci hanno presentato un giovane di elevata cultura, ateo rispetto alla religione, con un solido equilibrio psicologico, pur avendo alle spalle una famiglia difficile, in cui erano deficitarie le figure parentali di riferimento. I giovani terroristi del mondo islamico hanno invece evidenziato un livello medio-basso di cultura, una famiglia molto solida ed unita alle spalle e la pericolosa tendenza al fanatismo religioso.
Secondo altri (Fondazione I.C.S.A. – Primo Rapporto sul terrorismo internazionale relazione del 14.06.2010) esistono varie tipologie di terrorista fondate sul rapporto ideologia – religione: “
1. I seguaci della casa madre
Ricomprende i fedelissimi rimasti con Osama Bin Laden ed Al Zawahiri nel teatro afghano-pakistano
2. Gli affiliati
Formazioni areali e regionali che si richiamano all’Al Qaeda tradizionale ma con legami variabili: ideologici, attraverso terzi, con contatti sporadici
3. Gli Ibridi
Evoluzione della categoria degli affiliati, comprende fazioni che mescolano agende locali e obiettivi globali (qaedisti yemeniti, separatisti di lashkar-e-Taiba, ecc.). I loro obiettivi sono il “nemico vicino” (regime, autorità, militari, simboli locali) e quello “lontano” (l’America e gli occidentali in genere).
4. Gli ispirati
Cellule o individui che agiscono basandosi sulla semplice ispirazione del messaggio di Bin Laden. A volte hanno una preparazione militare sommaria, molto più spesso evidenziano scarse conoscenze di natura eversiva ma una forte determinazione
5. I lupi solitari
Sottoclasse degli ispirati per diversi aspetti. Fanno tutto da soli, dall’indottrinamento all’azione
6. Gli “emiri dagli occhi blu”
Persone con cittadinanza e passaporto non sospetti, cui affidare una missione, reclutati direttamente o con intermediari in Africa, Europa o in Usa, con trasferimento in Asia per l’addestramento e ritorno al paese d’origine; oppure sono utilizzati per fare da sponda ad un adepto, o ad un terrorista fai-da-te che cerca un contatto a distanza.
7. I nomadi della jihad
Sono ovunque e da nessuna parte, si mantengono in contatto con i network sociali, agiscono come possono. Sui nomadi della jihad punta Al Qaeda che, non disponendo più di una vera organizzazione, punta sugli individui, neppure troppo preparati
8. Gli homegrown
Figli di immigrati nati e cresciuti in Occidente, che si radicalizzano prevalentemente in seguito ai condizionamenti di correligionari attestati su posizioni estremiste. Si tratta generalmente di soggetti resi vulnerabili da situazioni di disagio sociale, o economico, o ambientale, che scelgono l’opzione dell’estremismo violento. A detto termine vengono associate anche le manifestazioni del terrorismo jihadista espresse degli immigrati di prima generazione, come il libico Mohammed Game, il cui processo di radicalizzazione è avvenuto del tutto o prevalentemente in Occidente.
9. I convertiti
Giovani che cancellano tradizioni e cultura occidentali per abbracciare la fede musulmana e condividere le posizioni estremistiche proprie dei mujaheddin. Molte conversioni avvengono mediante il contatto con islamici nelle carceri (vedi il caso dell’attentatore scoperto con l’esplosivo nelle scarpe nel Regno Unito, Richard Reid). Molte conversioni sono dovute alla propaganda dei predicatori itineranti, come i Tabligh.
10. Lo “sparatore solitario”
Il prototipo dello categoria è il maggiore Nidal Hasan, autore della strage compiuta nella caserma di Fort Hood in Texas il 5 novembre 2009, attentato che rappresenta il punto di congiunzione tra lo sparatore solitario e il gesto di jihad individuale. L’ufficiale, di origine araba ma di nazionalità Usa, si è comportato come un mujahed: ne ha seguito i riti, si è nutrito di fondamentalismo seguendo i dettami di un imam estremista (lo stesso del nigeriano del volo Northwest), ha venduto tutto, ed ha colpito i suoi colleghi.
11. L’attentatore suicida
La categoria ricomprende due categorie: il kamikaze “semplice” che utilizza ordigni molto artigianali, è meno preparato, si fa saltare tra la folla; il kamikaze “speciale” che utilizza esplosivo di tipo militare, agisce in congiunzione con militanti armati ed altri attentatori a bordo di veicoli-bomba, è ben addestrato, i suoi obiettivi sono “scelti” (ambasciate, luoghi protetti, hotel, sedi di servizi di sicurezza e compound di caserme militari). In Afghanistan è spesso un attentatore straniero, in Pakistan può essere un arabo o un elemento dell’area tribale
12. Le jihadiste
Alla base della scelta suicida delle attentatrici jihadiste, vi sono spesso motivazioni personali, quali un legame sentimentale con un membro del gruppo terroristico, la morte di una persona cara che apparteneva a tale gruppo, o aver avuto una tragedia familiare. In Cecenia vi sono state molte donne che si sono fatte esplodere; alcune di esse erano motivate dalla perdita del loro uomo nel conflitto: sono le cosiddette vedove nere. Nello Sri Lanka una delle principali ragioni che motivano le donne ad unirsi ai gruppi terroristici ( le Tigri Tamil – LTTE) è il fatto di essere state vittime di uno stupro. In Israele e nei Territori Occupati sia Hamas che la Jihad palestinese hanno utilizzato donne kamikaze. Le nuove regine della jihad sono spesso donne occidentali convertite o donne musulmane che vivono o hanno vissuto in occidente; in un contesto come quello europeo o nordamericano, che mettono a disposizione conoscenze e competenze professionali, utilizzando in maniera efficace le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.”
A parere di chi scrive, entrambe le valutazioni non tengono nel dovuto conto il rapporto esclusivo e socialmente disgregante , che certi individui , vivono con la religione islamica che ha come fine ultimo la totale sottomissione dell’uomo e l’instaurazione del Governo di Dio . Diversamente , affrontando l’indagine in termini sociologico – religiosi si potrà giungere ad individuare due tipologie fondamentali di operatore del terrore – il terrorista ordinario e quello suicida – dalle quali risulterà poi possibile costruire ulteriori ,eventuali, sottocategorie.
4.2. Il terrorista ordinario
Il terrorista islamico “ordinario” è nato o cresciuto in Occidente o è addirittura Europeo ( rientrano in tale categoria gli emiri dagli occhi blu , gli sparatori solitari , gli homegrown ,i convertiti ) ha un livello di scolarizzazione medio basso ed agisce con la certezza di essere nel giusto. Egli guarda all’occidente con “forte e profondo odio che viene covato ed alimentato quotidianamente ”. Anche la presenza di un grave disagio sociale (mancanza di lavoro ,limitate risorse finanziarie ,incapacità di integrazione) risulta essere una componente della vita del terrorista ordinario. In tali soggetti , l’eliminazione di innocenti (nel libro sacro dell’islam è proibito il massacro di innocenti, che potrebbe essere giustificato soltanto in presenza di una causa superiore) rende inutile l’evitare il lavaggio pre-ingresso in paradiso (momento che simboleggia la cancellazione dei peccati terreni, in caso di vittime civili valutato come crimine talmente efferato da non poter essere cancellato e da non consentire la salvezza da parte di Allah ) e dunque il suicidio / martirio (che a tale scopo viene adottato), poiché le vittime infedeli non rivestono il ruolo di “innocenti”. Pertanto, l’attentato viene programmato ed eseguito in maniera convenzionale (basti ricordare a tale proposito l’attentato alla stazione ferroviaria di Puerta Atocha a Madrid l’11.03.2004, ove i terroristi agirono in modo convenzionale con un attacco tattico attuato da elementi preparati che in perfetta sincronia collocarono una serie di ordigni che colpirono un paese in un momento di quotidianità) non risultando necessario divenire uno shahid (Arabo: شَهيد , šahīd . Lo Shahīd è colui che porta avanti il jihad, l’ "impegno sacro e doveroso". Si tratta di uomini, donne e bambini musulmani che si tolgono la vita per manifestare la propria fede, attentando anche all’incolumità pubblica con ordigni esplosivi o armi biologiche) .
4.3 Il terrorista suicida
Nell’indottrinare gli aspiranti terroristi, i reclutatori sfruttano spesso le credenze religiose, si servono della fede e nell’aspettativa di in una ricompensa divina . Ma la tendenza al martirio risulta, rafforzata anche dal patriottismo, dall’odio per il nemico e da un sentimento profondo del sacrificio. Il terrorismo “islamico” si serve di una tecnica sconosciuta ai passati movimenti di guerriglia: l’attentato suicida. Benchè l’Islam condanni il suicidio in quanto solo Dio può dare e togliere la vita, alcuni esperti di teologia islamica hanno emesso sentenze favorevoli alla scelta di questi “martiri”. Per i terroristi suicidi il corpo diventa un arma: per un uomo bomba la morte è un passaggio da una vita di sofferenza ad una vita superiore e per questo costituiscono una risorsa invincibile dal momento che sono, per dirla come Magdi Allam, fusione tra pensiero (religioso) ed azione. Peraltro, l’attività di un terrorista suicida offre anche vantaggi all’organizzazione di cui può far parte, sia in termini patrimoniali nella “gestione” costi – risultati , sia in termini strategico – tattici. L’attentato alle torri gemelle ha,infatti, avuto un costo di circa ad un milione di dollari ma ha provocato danni diretti per oltre 50 miliardi di dollari a cui si devono aggiungere i danni collaterali di una crisi finanziaria globale generata dalla paura. Sotto il profilo strategico e tattico ,come si è accennato, il terrorismo suicida presenta numerosi vantaggi per il gruppo di cui fa parte ”il martire”: – se il terrorista fallisce l’attentato, sicuramente si farà esplodere (ciò provocherà danni e nel contempo eliminerà la possibilità di essere arrestato); – il terrorismo suicida ha un’elevata percentuale di successo ed è flessibile (il target può essere deciso all’ultimo momento); – il terrorismo suicida si avvale comunque e sempre dell’effetto sorpresa ;
4.3.1. Il livello culturale del terrorista suicida
Il livello socio-culturale ed economico dei terroristi suicidi è di gran lunga superiore a quello del terrorista ordinario e piu’ genericamente della popolazione comune : L’11 settembre 2001, è stato pensato, preparato ed attuato da immigrati laici, poi convertiti al martirio. Nessuno tra i dirottatori dei tragici voli proveniva da contesti disagiati, anzi, molti di loro rappresentavano il prodotto della borghesia dei paesi di provenienza e risultavano tutti dotati di titolo di studio. Mohamed Atta, organizzatore dell’attentato di New York del 2001, era un ingegnere, che aveva appena conseguito un dottorato di ricerca all’Universita’ di Amburgo e non era certamente catalogabile come possibile terrorista . Il problema, per il terrorista suicida, era rappresentato dalle imposizioni morali della propria religione sul massacro di vittime innocenti, ed è stato superato proprio grazie al martirio che consente di evitare il lavaggio del corpo prima dell’ascesa. “I terroristi suicidi si considerano una vera e propria avanguardia per il riscatto dell’Islam, volta a rovesciare i regimi islamici corrotti, inefficienti e servi dell’Occidente per subentrare alle attuali élites che non li lasciano emergere”.
5. Contrasto al terrorismo , prevenzione e gestione del profiling
5.1. Combattere il terrorismo significa combattere l’ l’Islam radicale.
l’Islam radicale ha tre livelli. a) Il nucleo è composto dai gruppi terroristi, i loro finanziatori ed i leader religiosi che li legittimano. b) Il secondo livello è quello degli Stati che li proteggono ed il terzo c) è costituito dai milioni di persone che scendono in piazza in capitali come Il Cairo, Damasco o Rabat. Ogni livello esige un tipo differente di risposta: a) contro i terroristi la risposta non può che essere militare e di intelligence, una lotta senza quartiere con l’uso di ogni mezzo nel rispetto della legge; b) nei confronti degli Stati che li proteggono si devono esercitare pressioni internazionali e, solo come estrema soluzione, si può fare ricorso all’intervento militare per ottenere un cambio di regime. c) Il fronte più difficile è il terzo, perché è proprio l’opinione pubblica dei Paesi musulmani il terreno dove il terrorismo germoglia e dove, può essere davvero sconfitto. L’ obiettivo da raggiungere dovrà essere quindi quello di promuovere l’ emancipazione dall’odio ideologico antioccidentale per poter costruire società più libere ed aperte alla tolleranza anche attraverso aiuti umanitari e programmi di scolarizzazione , industrializzazione e ricostruzione volti a favorire il benessere sociale. Non dimentichiamo, infatti, che la parte maggioritaria dell’ opinione pubblica dei paesi islamici non è contraria all’ estremismo né ripudia le "azioni di martirio" (da un sondaggio dell’americano Pew Research Center dell’inizio 2004, risultava che Osama bin Laden godeva dei favori del 65% dei pakistani, del 55% dei giordani e del 45% dei marocchini).
5.2. Prevenzione e contrasto del nuovo terrorismo islamico.
Per quanto riguarda il fenomeno dell’infiltrazione di cellule terroristiche in paesi non-musulmani,le politiche di prevenzione dovranno occuparsi sia di sicurezza che di immigrazione . Sarà necessario a tale scopo : a) dar luogo ad un monitoraggio costante delle comunità di immigrati stanziate e sedentarizzate in territorio europeo; b)monitorare la costituzione di cellule nei piccoli centri dove attualmente si colgono segnali di una progressiva provincializzazione della jihad; c) tenere sotto osservazione nel web la propaganda islamica anche in lingua occidentale all’interno di forum specifici destinati a musulmani (attraverso cui sono diffusi testi religiosi, comunicati e direttive dei vertici qaedisti e manuali che illustrano, tra l’altro, metodi per la fabbricazione di esplosivi); d) sviluppare procedure di monitoraggio dei detenuti islamici da parte di personale dotato di adeguata preparazione; e) aumentare il monitoraggio delle comunità afghano-pakistane, attualmente in crescita in Europa; f) aumentare la componente HUMINT selezionando risorse in base a parametri di preparazione specifica e motivazionale ed attingendo per il reclutamento degli operatori di intelligence anche da settori privati (in ambito : giuridico, economico .informatico,linguistico).
L’ intelligence, per avere successo contro il terrorismo fondamentalista, dovrà “ragionare” abbandonando le logiche occidentali, operando attraverso il profiling degli aspiranti combattenti analizzando tutti gli elementi comportamentali relativi ai soggetti “interessati” anche anteriori al loro avvicinamento alla militanza. A tale scopo sarà necessaria l’utilizzazione e lo studio di fonti aperte quali archivi anagrafici, scolastici, teologici, nonché la ricerca di corrispondenze epistolari e di testimonianze dirette di persone in grado di fornire notizie utili su abitudini, gusti personali, sessuali, luoghi di vacanza, mezzi di trasporto preferiti dai sospettati. Il contrasto al terrorismo islamico potrà essere reso ancora più incisivo anche con l’uso di intercettazioni ed infiltrazione di agenti nei gruppi terroristici o negli ambienti a rischio (es. moschee ,associazioni islamiche ecc.), nonché attraverso l’approntamento di operazioni non convenzionali utili ad eliminare i targets fissati ed individuati.
“Nessun è rapporto è più intimo di quello intrattenuto con una spia,
Nessuna ricompensa più generosa di quella che merita una spia,
Nessun affare è più segreto di quello di una spia.”
Sun Tzu – L’Arte della Guerra –
BIBLIOGRAFIA:
Tutti gli argomenti trattati:
a) Fondazione I.C.S.A. – Primo Rapporto sul terrorismo internazionale relazione del 14.06.2010;
b) Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza con allegati – Italia – Presidenza del Consiglio dei Ministri anni 2007- 2010;
c) Il Terrorismo internazionale di “matrice islamica fondamentalista ” Analisi Investigativa e modalità di contenimento – Michele Avino ,Intel – Analisys on Global Terrorism – Aprile 2009.
Sul terrorismo islamico in Italia: Bin Laden in Italia Magdi Allam. Mondatori ;
Su attentati suicidi e kamikaze: I nuovi martiri di Allah Khosro Khavar. Mondatori; CEPIC – dott. Cannavicci – appunti lezioni sul terrorismo.
Sugli aspetti sociali e sulle strategie di contrasto al terrorismo: la nuova guerra F. Heisbourg Ed. Meltemi.