Mar. Set 10th, 2024

Il 2001 e per l’esattezza il giorno 11 di settembre resterà nella memoria del nostro tempo, come la data in cui il terrorismo ha vinto contro la società moderna e democratica, più potente del mondo; anche se oggi il ricordo di quell’evento appare molto debole, nell’immediatezza, ha sconvolto l’animo di molti, modificando usi e consuetudini.

Gli attentati che hanno seguito quello alle Torri Gemelle, sempre per mano della stessa organizzazione, come Londra e Madrid, hanno creato le condizioni indispensabili, perché anche in Italia si sviluppasse tra la gente una fobia verso i mezzi ed i luoghi pubblici.

Nel periodo successivo agli attentati ed in particolare dopo quello della metropolitana di Londra, è stata riscontrato nel nostro Paese un fenomeno definito "sindrome da metrò".

 Secondo Roberto Marino, psicologo delle catastrofi, si tratta di un’ansia comprensibile che nasce dalle domande: "capiterà anche a noi?", “ci saranno possibili vie di fuga?”.

La paura dell’attacco terroristico si è scoperto essere un nuovo stressor collettivo, che pur non sfociando in vere e proprie patologie, crea tra la popolazione forte disagio ed inquietudine, inducendo gli abitanti delle grandi città a frequentare di meno luoghi pubblici come, ad esempio la metropolitana, le stazioni o gli aeroporti, ritenendoli luoghi sempre meno sicuri e sempre più probabili obiettivi sensibili.

Quanto accaduto a New York ha dimostrato che nessuna nazione, nessun luogo può essere ritenuto sufficientemente sicuro.

Da un’indagine condotta nel novembre 2004 dall’Associazione culturale “Essere Benessere”, emerge, infatti, che mentre dieci anni fa le paure principali dei cittadini di una grande città come Milano erano l’AIDS e la droga, oggi è la paura di rimanere vittime di un attacco terroristico a rappresentare il timore più grande.

È dimostrato che gli attacchi terroristici a differenza degli incidenti o di calamità naturali, provocano effetti più a lungo termine sulla salute mentale delle persone e le reazioni che sono prodotte si dimostrano essere: rabbia, frustrazione, senso d’impotenza, paura e desiderio di vendetta.

La maggior parte degli individui non direttamente coinvolti in fatti di sangue, presenta capacità di recupero molto rapide, rispetto a coloro che ne sono direttamente coinvolti, sia personalmente o perché legati affettivamente alle vittime; questi presentano grandi possibilità di sviluppare un “Disturbo Post-Traumatico da stress” (DPTS).

Chi è affetto da questo disturbo rivive l’esperienza traumatica attraverso incubi e flashback, spesso soffre di insonnia e viene colto da attacchi di panico, oltre che da un forte stato di ansia, depressione e problemi di memoria, tutte patologie queste che possono durare anche per anni.

Uno studio effettuato dall’università di Gerusalemme e pubblicato su "Molecular Psychiatry" ha scoperto che una mutazione genetica del gene “Dat”, responsabile del trasporto della dopammina, (composto organico, ammina biogena naturalmente sintetizzata dal corpo umano, che all’interno del cervello funziona da neurotrasmettitore, attraverso l’attivazione dei recettori specifici D1, D2 e D3) influenzerebbe la risposta al trauma e la vulnerabilità agli effetti dello stress, provocando nell’individuo lo sviluppo del DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS.

Oltre a questo, ulteriori studi condotti in Israele  (terra nota per il clima di paura provocato dalla frequenza di attacchi terroristici suicidi) hanno dimostrato che  la fobia di rimanere vittime del terrorismo, può indebolire il cuore, provocando seri problemi cardiaci anche in giovane età; le donne israeliane, risultate essere le più condizionate dal pensiero di trovarsi sul luogo di un attentato, presentavano elevati livelli di proteina C-reattiva; questa sostanza aumenta il rischio di infarto, ictus, morte improvvisa e patologie dell’apparato circolatorio.

Le condizioni di stress provocate da un attacco terroristico, possono inoltre incidere sul consumo di alcool e fumo, da un’osservazione condotta a New York, solo cinque settimane dopo l’attacco alle Torri, è emerso che i fumatori sono aumentati dell’1% e coloro che già fumavano hanno incrementato il consumo di sigarette di almeno un 15-20%.

Anche il numero di bevitori è aumentato del 5,4%, così come il consumo di sostanze stupefacenti, con note proprietà rilassanti come Marijuana, ha subito un incremento del 1,3%.

 L’analisi di questi dati ha dimostrato che l’aumento del consumo di fumo e sigarette è stato più sensibile per quelle persone che, durante il crollo, avevano maggiori legami e per questo hanno sofferto più di altri,  sviluppando già in breve tempo i sintomi del Disturbo da Stress Post-Traumatico e della depressione.

Fortunatamente il nostro Paese, non è stato obiettivo di attacchi terroristici nel breve periodo, questo ha consentito di assestare gli equilibri mentali e psichici di coloro che nel passato sono stati a diverso titolo interessati da eventi drammatici, come la strage di Bologna, P.zza Fontana e molti altri.

Questa condizione di apparente serenità, che fortunatamente, interessa la nostra società, non esclude la possibilità di essere coinvolti in eventi drammatici, che possono creare uno shock emotivo, tanto forte da sviluppare una patologia di DPTS.

Le nostre paure, piccole o grandi, e le risorse personali che attiviamo per affrontarle, in qualche modo ci pongono di fronte a noi stessi, e ci dicono quali mezzi abbiamo per far fronte alla vita, alla realtà che quotidianamente siamo costretti ad affrontare.

Per superare con successo le continue prove cui veniamo sottoposti dagli eventi della vita, dobbiamo necessariamente dar credito alle nostre paure; senza mai sottovalutarle e cercando di dare loro il giusto peso, considerandole significativi segnali d’allarme per qualcosa che non funziona o che ci minaccia.

Non è la paura ad essere il mostro da imbavagliare e da controllare, essa è piuttosto, il nostro regolatore interno rispetto ad un possibile evento pericoloso esterno.

La paura, offre la possibilità di anticipare il pericolo, di evitarlo se possibile o altrimenti aggirarlo, o meglio ancora affrontarlo.

Ogni esperienza nuova è ritenuta potenzialmente pericolosa, ma l’adrenalina che accompagna sempre il timore, in questo caso offre il piacere del rischio, del cambiamento, dell’innovazione e della scoperta, offrendo uno stimolo a proseguire nella nostra azione, predisponendo l’intero organismo.

Situazione particolarmente rappresentativa di questo stato d’animo in bilico tra l’attrazione ed il desiderio di evitamento, è quella che si crea nel vedere un film del terrore e nel leggere un buon libro giallo.

Anche nell’esperienza reale (cioè non mediata dalla finzione) proviamo piacere nel vivere il rischio, purché consapevole e voluto, nello scoprire l’ignoto; nella vita, come in un film, a volte il piacere scaturisce dall’attendere il cambiamento, dalla condizione di non sicurezza, dalla paura, che ci spinge ad osare.

Avere il coraggio di ammettere a sé stessi ed agli altri di avere paura, ci consente di riconoscere di essere vulnerabili, e fare i conti con la possibilità di soffrire e di lasciarsi toccare dalla sofferenza altrui.

Accettare i propri limiti, è necessario per poterli superare, per consentire un approccio propositivo alla vita.

Due sono gli approcci mirati alla cura della paura patologica; uno Comportamentista che mira all’eliminazione del sintomo della manifestazione di paura, attraverso tecniche di familiarizzazione e assuefazione allo stimolo fobico, basate su meccanismi di condizionamento, l’altro Cognitivista, è finalizzato invece all’eliminazione della causa della paura, si rivolge quindi alla percezione e alla valutazione degli stimoli o eventi etichettati come pericolosi.

Per riassumere, nonostante che in Italia non si sia mai presentato un evento tanto grave da produrre un’emergenza psicologica, come quelle che negli anni hanno segnato altri paesi, la nostra quotidianità ha in diversi periodi storici, subito ugualmente mutamenti e condizionamenti, provocati da eventi traumatici globali.

Ritengo, possa essere di grande importanza, al fine di ridurre eventuali anomalie nel comportamento sociale, divulgare le possibili reazioni umane ad eventi traumatici, per consentire a tutti coloro che ne saranno vittime di accettare meglio la loro condizione, acquisendo una consapevolezza del proprio essere, indispensabile ad iniziare un percorso di riequilibrio mentale.

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