Mar. Mar 28th, 2023

La Vittimologia nasce come appendice della Criminologia, con l’esigenza di dare maggiore attenzione alle vittime di reato, considerandole come soggetti nel processo criminogeno.

Questa nuova prospettiva metteva in luce nuovi aspetti rimasti trascurati nella classica investigazione criminologia, tanto da favorire e legittimare gli sviluppi della Vittimologia come disciplina autonoma e si pone da allora come chiave di comprensione operativa della devianza, considerando non solo le vittime di reato, ma anche di sciagure naturali, come terremoti, incidenti stradali, o delle guerre.

La Vittimologia è quella branca della Criminologia che ha per oggetto lo studio delle vittima di un crimine, della sua personalità, delle sue caratteristiche biologiche, psicologiche, morali, sociali e culturali, e delle sue relazioni con l’autore del reato, in un ottica di criminogenesi ed criminodinamica dell’episodio lesivo. Inoltre, lo studio scientifico delle cause, della natura e degli effetti della vittimizzazione determinata da un comportamento, da un atto o da un’attività criminale, inclusa l’interazione tra la vittima e l’autore e tra le vittime ed il sistema giudiziario penale e la reazione e la risposta sociale, formale ed informale, in termini di supporto, assistenza ed aiuto alle vittime.

Il primo a parlare di vittima e vittimologia fu von Hentig nel 1941 con il suo lavoro su “Il criminale e la sua vittima”, considerata come la prima trattazione ad affrontare in maniera scientifica e metodologica il filone di studi che si pone come fine lo studio della vittima e del suo ruolo come importante vettore per la comprensione eziologica della devianza.

Von Hentig sosteneva che “attraverso un maggiore considerazione alla funzione provocativa della vittima (…)” si potevano evidenziare conoscenze e interrelazioni tra l’aggressore e la sua vittima, così che saranno aperti nuovi approcci nella scoperta del crimine.

Un interessante osservazione in ottica criminogenetica venne maturata attraverso uno studio sistematico di Wolfgang (1958), il quale coniò il termine di Victim-precipitated criminal omicide. L’autore fece uno studio di analisi di 588 omicidi tratti dagli archivi della polizia di Filadelfia e comprendente gli anni dal 1948 al 1952.

La ricerca si concentrava soprattutto in quei casi un cui la vittima fosse stata la prima a mettere in atto un azione violenta nei confronti del suo aggressore.  Dopo alcune analisi i casi vennero isolati allo scopo di individuarne  i fattori ricorrenti che facessero pensare ad una situazione di precipitazione vittimologica, victim precipitation appunto.

L’autore in tutto elaborò una categoria  di circa il 26% di quei casi riconoscibili come Victim precipitation cases o VP cases. Attraverso apposite tabelle vennero confrontate tutte quelle variabili significative come ad esempio la razza, il sesso, che solitamente sono associate a soggetti devianti di colore e sesso maschile. Secondo Wolfgang questi sono i più soggetti ad essere predisposti alla violenza, rispetto a bianchi e donne, i quali sono sempre coinvolti sia come criminali che come vittime.

La teoria ricavata dagli studi dell’autore e la criminogenesi nei casi di precipitazione vittimologica può essere suddivisa in tre categorie, tipiche del rapporto fra vittima e carnefice.

In molti casi studiati la connessione fra vittima e criminale non è causale, ma il rapporto nasce soprattutto da relazioni di parentela o affettive (come matrimonio, fidanzamento, etc.) nesso che è possibile teorizzare come conoscenza pregressa.

L’omicidio era solitamente il risultato di un piccolo disaccordo iniziale, lontano o vicino nel tempo, che era poi degenerato fino alla perdita totale di controllo. In una gran parte dei casi era presente una componente alcolistica, che consisteva nella presenza di tracce di alcol nel corpo della vittima. Elemento visto come catalizzatore per l’intera situazione e alla base della perdita di inibizioni che avrebbe in seguito portato la futura vittima ad essere soggetta ad una minore reazione fisica nella colluttazione, causando la morte.

Successivamente uno studente di wolfgang, Menachem Amir decise di applicare il concetto di precipitazione vittimologica alla violenza carnale; anche se la ricerca dell’autore fu una delle maggiormente criticate. Amir analizzo i rapporti di casi di stupro tratti dagli archivi della polizia di Filadelfia, in un periodo che andava dal 1958 al 1960, cercando di selezionare quelli in qui era presente una victim precipitation e considerando quelli in cui la vittima poteva esser la causa della conseguente azione criminale.

Vennero evidenziate le situazioni in qui le donne avevano inizialmente acconsentito al rapporto sessuale, per poi ritirarsi prima della sua concretizzazione, oppure i casi in cui non vi era stata un’adeguata reazione alla proposta del successivo aggressore. Venne considerata altresì la casistica dei gesti, del linguaggio o dell’abbigliamento della vittima, come ideazione di una potenziale “provocazione”. Anche in questo caso l’assunzione di alcolici da parte della vittima risultò essere determinante e ricorrente, oltre all’abbigliamento ed a quella che venne definita come “cattiva reputazione” della stessa. Il fatto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, ed addirittura venne ipotizzata la possibilità che fosse la stessa vittima ad avere un desiderio inconscio di essere violentata, desiderio che veniva percepito dall’aggressore e poi messo in atto.

Uno dei principali pregi di questa ricerca consiste nel suo rigore metodologico  e nella accuratezza dei dati e della loro rielaborazione.

Essa ha inoltre evidenziato come gli stereotipi possono avere diverse chiavi di lettura e che spesso una sola interpretazione dei dati statistici può non esplicitare.

Un ulteriore aspetto è legato alla difficile definizione del crimine ed in questo caso di victim precipitation.

Un ulteriore ricerca di Franklin e Franklin del 1976 evidenziarono come se l’azione criminale fosse determinata dalla provocazione vittima, ciò possa manifestarsi anche in situazione in cui non si verifica alcun crimine. Un secondo aspetto di critica era riferito alla pianificazione dell’aggressione, ingiustificabile secondo la logica di Amir che vedeva il crimine come reazione ad idonei segnali offerti dalla vittima.

Un ulteriore contributo, ad opera di Curtis nel 1974, il quale esamina il rapporto fra aggressore e vittima secondo gradi di reciproca responsabilità, sostenendo che anche se la vittima fornisce una fonte di provocazione, sarà comunque il grado di responsabilità dell’aggressore ad avere un magior peso nell’azione.  Considerando i fattori della victim precipitation come componenti dell’azione criminale importanti, ma non la causa scatenante del crimine.


[1] Art. 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite

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